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“L’avevano riconosciuto allo spezzar del pane”
Lc 24,35
Carissime sorelle e carissimi
fratelli,
dalla clinica riabilitativa dove mi trovo, in attesa di un migliore recupero della salute, pensandovi con gioia, desidero far giungere a ciascuno di voi un
pensiero augurale per la Pasqua e il tempo di speranza che si
apre dinanzi.
Evitiamo
il lockdown dei sentimenti
Siamo circondati dalla sofferenza e constatiamo
fragilità, precarietà, limite, disperazione. Sospesi tra timore e
incertezze, rischiamo il lockdown dei sentimenti che, messi a dura prova, possono
essere minimizzati e blindati dalla paura. Pur nella fatica di
questi giorni e di un domani incerto e nebuloso, adoperiamoci
affinché l’umano si manifesti nella
forma più bella, sapendo attingere alla speranza pasquale che ci
offre la consapevolezza di non essere più soli in
Cristo.
Abbiamo bisogno di comunicarci affetto
e solidarietà, attraverso le modalità
più consone al cuore, così come ha fatto Gesù con i
suoi, all’indomani della Risurrezione. Lui, il Vivente, ci accompagna e si rivela con il linguaggio della tenerezza, della vicinanza e della condivisione. Gesù parla al cuore, nutre i corpi, dona consolazione e pace.
Se scorriamo i brani evangelici che narrano le apparizioni del
Risorto, dal giardino del sepolcro (Gv 20, 1-18) alla riva del
lago di Tiberiade (Gv 21,1-19), dal Cenacolo (Gv 20) a
Emmaus (Lc 24, 13-35), Gesù comunica la sua presenza coinvolgendosi mediante un linguaggio che tocca
e accarezza la vita dei suoi, sino a farla vibrare, trasalire di
gioia e cambiare.
La Maddalena rinasce ascoltando
il suo nome sussurrato dal Maestro: “Maria”; Pietro vince
ogni ritrosia e paura, affrontando l’acqua del lago per raggiungere Gesù, giungendo a
dichiarargli il suo amore: “Signore, tu lo sai che ti amo”; Tommaso esplode in una professione di fede,
pronunciando parole meravigliose: “Mio Signore e mio Dio”; Cleopa e il suo compagno di viaggio, allo spezzare del pane, riconoscono il Maestro e abbandonano la via della tristezza e dello smarrimento per fare ritorno a Gerusalemme. La vita, per tutti loro, si fa dono e diviene
annuncio del Vangelo che salva.
La grammatica della prossimità per
riconoscere il Risorto
In effetti vivere la
Pasqua è imparare a riconoscere il Risorto che si rende presente nella nostra
vita. Se non ci lasciamo toccare dalla Sua presenza, tutto
diviene sterile, la nostra religiosità diviene vuoto ritualismo e
moralismo; l’esistenza perde la scintilla del divino e si
prostituisce a chi la priva della sua dignità; la nostra umanità perde i palpiti e i sussulti di una vita voluta e abitata da Dio.
È sotto
i nostri occhi come la sete di successo, di denaro, di potere,
ancora oggi, in questo tempo terribile, fa da contraltare
alla logica dell’Amore, attestata da Cristo con la
sua incarnazione, morte e risurrezione.
Questo è il problema vero della fede: non semplicemente credere nella risurrezione, ma giungere a un incontro reale con il Vivente, che accompagna il cammino della nostra vita. Come per i due di Emmaus, anche per noi, c’è la tentazione egoistica di coltivare la speranza in un Dio che liberi
e riscatti le sofferenze
con un intervento potente. La
scena della casa di Emmaus, lo spezzare il pane da
parte del forestiero, apre occhi, mente e cuore ai due tristi
fuggiaschi e li rimette in gioco.
Prima di giungere al gesto dello spezzare il pane, il Risorto declina tutta la grammatica della prossimità, autenticando così il gesto eucaristico di quella sera: si fa vicino a chi si sta allontanando; condivide il cammino; ascolta e si
lascia toccare dalla sofferenza e amarezza dei due; dialoga, spiega e parla ai
loro cuori toccandoli col suo amore compassionevole. Quella del
Maestro è una prossimità che non si impone ma si avvicina con discrezione, facendosi compagno di
viaggio, e giungendo a dare un senso a quella Croce, causa
dello smarrimento dei due viandanti. Il Risorto abita la loro vita
con la delicatezza di un amante tenero e tenace.
L’Eucaristia:amore nel segno del servizio e del dono di sé
Lo spezzare
il pane, gesto comune in una cena, diviene porta aperta che
lascia intravedere quanto già vissuto e sperimentato nel
Cenacolo, ma ora ancora più chiaro alla luce di quanto il Forestiero ha narrato e spiegato. Tutto è preceduto dal desiderio di ospitalità che i discepoli dichiarano: “Resta con noi, perché si fa
sera”. Un’ospitalità
offerta a uno straniero, a un forestiero non conosciuto.
È solo nello spezzare il pane
che la Parola, ascoltata lungo il cammino, apre alla
conoscenza piena di Colui che è a cena con loro. In questo gesto Cristo sembra aver voluto nascondere la modalità più autentica con la quale farsi riconoscere ai nostri occhi. È il gesto del pane spezzato, donato e condiviso che tocca il cuore e strappa
dal dolore e dalla rassegnazione l’esistenza dei due
discepoli. Essi cambiano senso di marcia e fanno della propria
vita un dono ai fratelli in Gerusalemme.
Riconoscere Gesù per essere riconosciuti e costruire tessuti di fraternità.
Vivere da risorti è l’augurio che rivolgo a noi tutti. Riconoscere il volto del Risorto ci conduce a comprendere, in modo nuovo, il volto che devono
assumere le nostre comunità cristiane, il quotidiano
di ciascuno. Questo può realizzarsi se ci lasciamo toccare dal suo
amore. Non c’è riconoscimento del volto del Risorto che non
sia al tempo stesso riconoscimento del volto del nostro essere Chiesa.
È nell’Eucaristia che avviene tutto: il suo
corpo, spezzato e condiviso “per
noi”, trasforma e trasfigura la vita insegnandoci la consegna
di noi stessi per gli altri. Salvati dal male
mediante il suo amore, siamo chiamati a risorgere
a un’esistenza capace di farsi... pane per gli altri, accogliendo il mondo con le sue fatiche e i suoi
dolori nello stile di una ospitalità operosa.
È nell’Eucaristia, nello spezzare il pane, che Gesù ci lascia lo spazio in cui attestare il nostro essere risorti al mondo: “fate questo in
memoria di me”. Toccati e amati dal Risorto, siamo proiettati sino ai confini del mondo per manifestare il volto del Figlio di Dio con una vita che, nella condivisione della Parola e del pane eucaristico, sappia rendersi dono per ogni uomo che
incontriamo.
Essere di Cristo, vivere da risorti, annunciare il Vangelo che
salva è la condizione di vita in cui la Pasqua ci introduce. In Lui,
nel suo sangue che ci ha redento, siamo costituiti fratelli, chiamati
a testimoniarlo con gioia accanto a ogni uomo. L’umanità intera ci appartiene e la fraternità, valore universale dal fondamento evangelico, diviene per noi, realtà esigente, ineludibile perché
ha come suo prezzo la vita stessa di Gesù, così come afferma papa Francesco: “Altri
bevono ad altre fonti. Per noi, questa sorgente di
dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di
Gesù Cristo” (FT
277).
Vivere la gioia della Pasqua ci porti accanto
all’altro, per realizzare quel mistero di comunione che è il sogno di Dio.
Vivere da risorti ci renda audaci testimoni capaci di
annunciare e denunciare l’iniquità che fa soffrire e mortifica
l’umano.
Vivere la vita nuova della risurrezione ci renda operosi artigiani di percorsi in cui nessuno rimanga
indietro, sopraffatto
dagli alibi dei più furbi.
Vivere la Pasqua ci porti a gridare, come ci ricorda
il Santo Padre, ciò che sgorga dal vangelo:
“Il primato dato alla relazione, all’incontro con il mistero sacro dell’altro,
alla comunione universale con l’umanità intera come
vocazione di tutti” (FT 277).
Prima gli altri e poi
io, mai da soli ma insieme!
Sia questo il cammino in cui divenire dono, nel quale assumere, come Gesù, la forma del pane spezzato e condiviso per il mondo, divenendo artigiani tenaci di comunione e di unità, seminatori di
speranza.
Mi piace concludere dando voce a un ragazzo di Bari, diversamente abile, che pregando in gruppo con
gli amici del Centro Volontari della Sofferenza ha espresso il suo desiderio di resistere e amare: “Gesù tu sei la nostra
speranza. La tua forza ci renda sempre più forti, ci dia il
coraggio di non arrenderci mai”.
Buona e Santa Pasqua.
+don Giuseppe, Vescovo